Anni fa il corteo, o sfilata che dir si voglia, era aperto da una bara portata a spalle o su di un carro, contenente il fantoccio di “Gjolgju” (Giorgio), oppure lo stesso Giorgio era portato impalato, imbottito di paglia e petardi e assumeva il nome di “Gjolgju Puntogliu”. La sorte, però, era sempre quella di finire comunque bruciato dopo un sommario processo/farsa e a nulla valevano le difese e le buone ragioni del contraddittorio. Giorgio veniva immancabilmente ed irrimediabilmente condannato a morte. Condannato senza appello, al rogo, ad essere bruciato sulla pubblica piazza, tra il finto compianto ed il ludibrio dei presenti.
Capro espiatorio, che rappresentava certamente il potere, inattaccabile in altri frangenti, ma che offriva il proprio tallone d’Achille in questo particolare momento; colpevole di tutti i mali, di tutte le sciagure, di tutti gli avvenimenti nefasti, carestie, cattivi raccolti, malattie e chi più ne ha più ne mette, tale da giustificare lo sfogo liberatorio del furor di popolo ed il fuoco purificatore del rito.
In questo contesto, essendovi la necessità di una precisa metamorfosi, sublimando un ribaltamento dei ruoli, ecco spiegate la nascita e la creazione delle varie maschere caratteristiche e tradizionali, come:
“LI Mascara Brutti” – Maschere brutte o sporche, comprendenti le maschere grottesche, magiche o rituali, antropomorfe o vestite di pelli di animali, con campanacci e sonagli, con la faccia imbrattata di “zinzieddu” (fuliggine o polvere di sughero bruciato), chiaro riferimento al mondo agro pastorale dal denso significato apotropaico;
“LI Mascara Netti” – Maschere pulite, quindi tutte le altre maschere e travestimenti ottenuti di fatto con vesti normali, costumi tradizionali, il viso coperto da un velo o da una maschera sarda;
“Li Buattoni o Buffoni” – Personaggi vestiti di stracci, nelle fogge più disparate e che si divertono facendo ridere e prendendo in giro; possono essere paragonati ai giullari di corte;
“Li Maschari in Linzolu o Gabbanu” – Lu Linzolu poteva essere considerato la maschera per eccellenza del carnevale tempiese. Un lenzuolo di lino o di seta, che poteva essere finemente ricamato, veniva indossato coprendo la figura femminile, tenuto alla vita con un cintura o cordicella colorata e fermata sulla testa da un nastro rosso o di altri colori o da spille d’oro, tale da formare una specie di testa di gallo; il viso celato da una veletta o da una maschera con pizzo. La dama in “Linzolu” era accompagnata dal cavaliere in “Gabbanu” (cappotto di orbace nera con cappuccio e alamari) indossato sopra il costume maschile; viso mascherato o imbrattato di nero.
“Li Mascari in Dominu” – Questa maschera è più recente delle precedenti, si tratta di una sopravvesta intera di raso o in seta, provvista di cappuccio e guarnita a piacere anche con nastri e perline. Amori, tradimenti, delusioni cocenti e scherzi atroci, hanno convissuto sotto questa tunica nera, autentica fioriera di malizia e mistero.
di G.Sotgiu