LE PASSATE E INDIMENTICABILI EDIZIONI
"La Tradizione Orale"Per raccontare le passate edizioni del Carnevale Tempiese, viene in aiuto una ricerca svolta negli anni ’70, dalla classe quinta G del 1° Circolo didattico di Tempio sotto l’insegnante Luigi Cecchini. La ricerca, confermando la fatidica ricorrenza dell’Epifania, informa che il Carnevale prende ad aver corso dalla prima comparsa delle maschere nelle vie e nelle piazze della città, senza nessun specifico segnale, per esempio il suono della tromba o del corno del banditore come sarebbe avvenuto in altri centri della Sardegna.
L’organizzazione del Carnevale era frutto dell’iniziativa spontanea, sulla scia della tradizione, dei cittadini e di alcuni in particolare, i quali pertanto non potevano che divenire dei personaggi famosi, tantoché ogni anno si determinava una certa aspettativa per loro “sciuta”, ovvero la loro comparsa in pubblico. Nei ricordi degli anziani di Tempio, figuravano in particolare: “Ziu Salvadori Bisceglia” e “Ziu Antoni Polcu Saldu”. Gli alunni riportano: “…ci si divertiva così, c’era uno che si chiamava “Ziu Salvadori Bisceglia” che usciva mascherato il martedì. Accompagnava Re Giorgio nella passeggiata per le vie di Tempio su una carrozza trainata da un asinello. Ziu Salvadori vestiva solennemente di nero con un vaso da notte in testa e salsicce e frittelle a collana. Ogni tanto prendeva un pezzo di frisgiola la bagnava nel miele in un altro vaso da notte che aveva in mano, mangiava e beveva grandi sorsi di “muscateddu timpiesu”.
A proposito invece di maschere e travestimenti, gli alunni riportano: “…le donne si mascheravano con le lenzuola, coperte di seta e con il costume “a faldetta ribucculata”; gli uomini col cappotto di orbace nero e la maschera “cappottu di fresi o gabbanu”, percorrevano le strade a cavallo, bussavano alle porte delle case dei ricchi e chiedevano “frisgioli e muscateddu”. Oggi – conclude la ricerca degli alunni – “gli uomini non si mascherano piu e le donne riccorrono tutte al domino”.
Il Domino, epopea dei mascheramenti della donna fino agli anni ’80 del Novecento. Dietro al suo camuffamento erano possibili innoqui inganni e licenze di ogni tipo.
La rappresentazione del Carnevale “Ghjolgliu Puntogliu”, ovvero il fantoccio di Re Giorgio – raccontano gli alunni: “…compariva un tempo il martedì grasso. Dal 1955, invece il giovedì grasso. La sua figura era quella maschile in abiti regali a cavallo di un asinello. Veniva imbottito con paglia e stracci e conteneva anche borotalco e polvere da sparo. In tempi più recenti si è affiancata la figura di “Mannena”, popolana grassa e pettoruta e la domenica del carnevale si celebrano burlescamente le loro nozze in tripudio di popolo.., Giorgio rappresentava la nobiltà o comunque la classe dirigente politica ed infatti il giorno del suo insediamento fa un sacco di promesse al popolo rispecchiando i veri problemi della città. Le mancate promesse scatenano l’ira dei sudditi che allora lo processano e condannano al rogo. Mannena, la moglie (che rappresenta il popolo), sta a guardare impassibile e alla fine del carnevale resta sola e abbandonata. Così l’eguaglianza e la convivenza tra ricchi e poveri si realizza solo a Carnevale. Ed anche questo può riasalire alla tradizione dei Saturnali”.
La sorte del fantoccio – “…Giorgio è processato e condannato al rogo da una corte di dignitari sghignazzanti che per scherzo eseguono finte lamentazioni funebri. La pubblica accusa a Giorgio è sempre stata l’occasione per esercitare la satira politica, tollerata anche in eriodi in cui tale libertà era proibita. Il rogo del pupazzo aveva poi un significato rituale ed i contadini traevano da esso auspici per l’annata agraria. Questo, come la libertà di parola, può risalire alla tradizione romana dei Saturanali”.
A proposito dei carri, divenuti in epoche successive l’assetto portante del Carnevale, la ricerca dgli alunni specifica che: “..essi sono apparsi solo di recente ed hanno significato satira politica. In tempi più lontani si usavano far girare calessi tirati dagli asini e carichi di gruppi di persone mascherate con abiti logori e vecchi”. Mentre negli stazzi galluresi vi era un’altra usanza: “…sempre l’ultima domenica di carnevale, si usava sotterrare un gallo vivo, lasciandone fuori solo la testa. Da una certa distanza gli uomini gli sparavano “a pilotta”, cioè con una sola palla di piombo. Se l’animale veniva subito colpito e ucciso era segno di buona annata; al contrario se bisognava sparare molti colpi o il gallo stentava a morire. C’è in questo, forse, il ricordo dell’uccisione del capro espiatorio”.
Tratto dal libro “Sua Maestà Re Giorgio” di Tonio Biosa e Mario Pirrigheddu, volume realizzato con il contributo e il patrocinio del Comune di Tempio Pausania e della Pro Loco di Tempio